Se son rose fioriranno. E se sono rovi..?
Per la borsa americana l'anno in corso rappresenta la peggiore partenza, in termini di total return, degli ultimi 34 anni. Alla data del 27/04, soltanto nel 1988 si fece di peggio. Ciò che appare più preoccupante, è che quest’anno il mercato obbligazionario non ha rappresentato l'ancora di salvezza a cui numerose genie di investitori erano abituate.
Pochi giorni fa il governatore della Federal Reserve ha chiarito definitivamente il progetto di un tightening insolitamente duro, almeno nelle previsioni: circa 170 punti base di incremento del Fed Funds rate nei prossimi tre mesi, e complessivamente 12 incrementi da un quarto di punto per tutto il 2022. Questo scenario naturalmente viene da pochi tollerato allegramente ma è spacciato da Powell come l'unico mezzo attraverso il quale raffreddare la domanda e di conseguenza l'inflazione. E' evidente che anche su questa iniziativa Biden si gioca le midterm elections. Se in passato la vaga minaccia di un rischio recessivo era sufficiente ad attivare le classiche operazioni monetarie antipanico, oggi al contrario la contrazione di ricchezza è addirittura salutata con favore. Insomma sembrano benvenute quotazioni del mercato azionario ed obbligazionario ancora più contenute. Vedremo cosa ne penseranno gli elettori.
Il Nasdaq non si fa pregare e da inizio anno cede poco più del 20%; E' dunque formalmente in modalità bearish. Ma non fa molto meglio il TLT: -18.7%. Il BND, Etf che rappresenta l’intero universo del reddito fisso americano, lascia sul campo il 9.50%, mentre il Bloomberg Barclays Aggregate Bond fa registrare la peggiore perdita, a questo punto dell’anno, di tutta la sua storia. La tradizionale gestione bilanciata - 60% azioni, 40% titoli di Stato (che ha fatto la fortuna di molte generazioni di consulenti) - si avvia a conseguire nuovi minimi dopo aver ritracciato un canonico 61.8% delle perdite patite nel primo trimestre.
In ogni caso l’aumento dei tassi reali finisce per impattare maggiormente sui settori del mercato azionario dalla duration più elevata; che pertanto finiscono per scontare con un tasso maggiore i flussi di reddito futuro, a discapito del fair value attuale. È il caso segnatamente della tecnologia e del FANG, in particolare.
Questo plotoncino di titoli evidenzia una correlazione inversa rispetto ai tassi reali, in termini di forza relativa: più sale lo yield al netto dell’inflazione, più il FANG perde terreno rispetto al resto del listino azionario USA (v. chart 1). È una relazione da tenere ben presente, quando si discute di prospettive intermarket legate all’aumento dei tassi di interesse.
Soprattutto, il FANG+ Index è fresco reduce da una rottura eclatante: quella della media mobile che fino ad ora aveva sempre brillantemente contenuto tutte le fasi correttive (v. chart 2). Questa volta sembra che non andrà come nel passato. Prepariamoci dunque a quotazioni più contenute nel corso dell'anno.
Anche il sentiment è sbilanciato negativamente.
Il sondaggio che ogni sei mesi conduce Barron’s fra i money manager potrebbe illudere che la bassa aliquota di rialzisti sia beneaugurante. Ma l’esame quantitativo suggerisce diversamente:
quando i Tori sono risultati meno del 50% del totale, lo S&P ha conseguito una performance media del -1% nei sei mesi successivi, salendo soltanto nel 50% dei casi. Viceversa, quando i Tori sono stati la maggioranza, il mercato si è migliorato fino al sondaggio successivo nell’80% dei casi, salendo in media del 7%. Il dato dunque non va letto in chiave contrarian. Si tratta dell’ennesimo setup (e fin qui ne abbiamo visti veramente tanti) che invita alla cautela, nel momento in cui la stagione degli utili del primo trimestre entra nel vivo. Stando ai primissimi risultati di bilancio, il 76% delle società ha battuto le stime della vigilia: bene, ma non benissimo, con utili operativi previsti in espansione del 6.9% rispetto ad un anno fa.
A proposito di segnali e setup preoccupanti, un ToY (Turn of Year, 19/11-19/12/2021) e i primi due mesi dell’anno a loro volta negativi, dopo una annata dal saldo superiore al +10%, sono stati registrati altre cinque volte dal 1970, ma sempre in precise circostanze di mercato: febbraio 2020, febbraio 2000, febbraio 1977 e febbraio 1973. Il seguito ce lo ricordiamo tutti tristemente bene.
Se invece si indaga sin dal 1950, la finestra del ToY setup si è chiusa 16 volte con un saldo negativo. Di queste, 8 volte con i mesi di gennaio e febbraio a loro volta negativi.
La figura proposta (v. chart 3) mostra l’andamento medio/mediano negli anni in questione. In grigio, la media del 1973, 2000 e 2008. In rosso, l’andamento dello S&P di quest’anno.
Il modello previsionale (che riproponiamo ai nostri lettori e clienti con una certa periodicità) evidenzia dunque uno scollamento fra previsioni e realtà addirittura superiore ai precedenti più nefasti che sia possibile individuare. Ma, al di là di questa eventualità, appare evidente come l’inclinazione del mercato dopo il bimestre aprile/maggio appaia al momento univoca. Cosa potrebbe modificarla? Invitiamo dunque a prestare attenzione alle voci del mercato, soprattutto quando il loro tono è differente da quello che si potrebbe legittimamente attendere.
Anche il modello che sovrappone l'andamento dello S&P nell'anno in corso (linea rossa) con il 2008 (linea gialla) - che aveva per alcuni mesi mostrato le aderenze più evidenti - mostra come l'indice sia intenzionato ad ignorare quello script (v. chart 4, 5 e 6). Il copione è stato seguito fino ad alcuni giorni fa quando è stato registrato addirittura un peggioramento ulteriore. Sotto
questa prospettiva non si esclude la possibilità di un riallineamento, che passerebbe necessariamente attraverso un vistoso rimbalzo nelle prossime settimane. Ma si tratterebbe probabilmente, a meno di ulteriori segnali plurimi ed univoci, di un reazione di breve durata.
Anche la media storica degli anni in cui si sono celebrate le elezioni americane di medio termine segnala che l'anno in corso è decisamente sotto tono (v. chart 7).
Alla luce di tutto ciò, non riesce a stupire il comportamento del dollaro Usa che evidentemente beneficia della politica monetaria aggressiva e, per effetto, dei rendimenti ben più allettanti del resto del mondo.
L’Europa si trova alle prese con problematiche, se possibili, ancora più gravi essendo chiamata a sostenere un severo esame che passa per la verifica della propria autosufficienza energetica (verifica persa in partenza) e a patire sulla propria carne gli effetti dell'embargo imposto alla Russia. Difficoltà, queste, che appaiono estranee all'America di Biden. La certezza di entrare in recessione sembra impensierire il nostro premier molto meno dei rischi che stiamo correndo per aiutare l'Ucraina.
All the best
dott. Massimo Moschella
Professional Trader & Teacher at Cpe Trader.
Per relazioni tecniche, analisi, report e sessioni di coaching one to one potete scrivere a: massimomoschella@libero.it
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