PAURA DEL CONTAGGIO O BOLLA DI SAPONE ?
Ieri, all’apertura dei mercati, qualche piccola crepa che potesse portare addirittura ad un panic selling sulle price action dei principali asset di mercato, l’avevamo intravista, in aggiunta al fatto che anche i principali indicatori di rischio, dal Vix, all’indice avidità e paura redatto dalla Cnn, si erano girati in modalità risk off con una certa intensità. Analogamente qualche grande banca di investimento si era azzardata a segnalare che nella prossima riunione la Fed potrebbe lasciare i tassi invariati, il che visto dalla parte di operatori e investitori, potrebbe apparire come un segnale estremamente preoccupante su quel che potrebbe essere un eventuale effetto contagio dopo il fallimento delle banche californiane. Successivamente, però, analizzando a mente fredda la situazione, si deve avere la chiarezza di ricordare che nel caso in questione si tratta di un fallimento che non coinvolge alcun rischio sistemico, come nel 2009, ma esclusivamente un fatto circoscritto. Si tratta cioè di un problema di liquidità temporanea non essendo coinvolti titoli tossici, ma titoli del tesoro americani, che sono stati venduti a prezzi decisamente più bassi di quelli di acquisto per trovare la liquidità necessaria a far fronte alle richieste dei titolari di conti correnti, che richiedevano indietro i propri fondi, in massa. E’ un qualcosa che capita sicuramente in un momento sbagliato ma sia la Fed sia la Casa Bianca sono intervenute per rassicurare gli investitori. Che poi sotto ci sia qualcosa di estremamente più importante, questo non è dato saperlo ad oggi, in ogni caso i mercati stanno reagendo in modo abbastanza composto.
GOLDMAN SACHS E BARCLAYS
Secondo gli analisti della grande banca di investimento, il fallimento di SVB costringerà la Fed a lasciare invariati i tassi nel mese di marzo, mentre per Barclays la Fed manterrà fede al proprio impegno di alzare il costo del denaro di 50 punti base. A nostro parere, entrambi questi scenari potrebbero in qualche modo creare problemi mentre un rialzo di 25 punti base probabilmente non scontenterebbe i mercati a aiuterebbe a calmierare ulteriormente l’inflazione. Intanto scendono i rendimenti dei titoli di Stato Usa con il decennale al 3.51%, mentre il 2 anni ha perso oltre il 10%, la peggiore performance dal 1987. Il decennale tedesco, analogamente, è sceso di 30 punti al 2.17%, mentre il Gilt britannico è sceso al 3.27%.
MERCATO AZIONARIO
Dopo un’apertura in profondo rosso Wall Street ha recuperato con i tre principali indici che hanno chiuso comunque in rosso, il Dow Jones a -1.07% Nadaq a -1.38% e l’S&P a -1.36%, mentre la tensione tra i titoli delle banche regionali è rimasta alta. La First Republic Bank per esempio ha perso oltre il 60%. La media delle discese percentuali , tra questi Istituti, è intorno al 20%. Nella notte intanto, si segnala comunque la discesa dei mercati asiatici, trascinati ovviamente al ribasso dalle notizie provenienti dagli Usa. Chiusure negative per Australia Giappone, Core del Sud, Hong Kong e Cina. La sessione occidentale però sembra aprire stabile.
MAJORS
Sui cambi, dopo un iniziale sell off di Usdjpy che è sceso a toccare dei minimi a 132.28 dall’apertura di 135.00, nel pomeriggio, con Wall Street in recupero, il cambio si è riportato sopra quota 133.00 allentando la tensione della mattinata. Sugli altri rapporti segnaliamo la salita degli altri cambi contro dollaro come EurUsd che ha toccato un massimo a 1.0750 per poi stornare qualcosa e il Cable che ha sfiorato 1.2200. La sensazione è che al di là di correzioni al ribasso, sui cambi la correlazione sia cambiata, in ragione del fatto che la crisi sembra provenire dagli Usa e quindi il dollaro perde lo status di valuta rifugio nel caso di aumento della paura e discesa dei listini azionari. E quindi, come abbiamo ricordato qualche giorno orsono anche su queste pagine, la discesa del dollaro potrebbe anche accelerare nelle prossime settimane.
SI AVVICINA IL DATO CHIAVE
E domani, non va dimenticato, è atteso il dato che più di ogni altro, può influenzare la decisione della Fed, ovvero il Cpi Usa, atteso al 6% sul dato generale e su base annua, rispetto al 6.4% precedente, mentre mese su mese il consensus prevede un aumento dello 0.4%, inferiore al dato uscito il mese scorso. Relativamente al dato core, 5.5% anno su anno rispetto al 5.6%, mentre il dato mensile vede un rialzo dello 0.4% come nel mese precedente. La reazione del mercato si farà sentire, e da domani partiranno le speculazioni sulle probabilità di rialzo della banca centrale Usa il 22 marzo prossimo. Non dimentichiamo anche il dato sulla disoccupazione inglese domani mattina, un probabile market mover di breve termine per la valuta britannica. Buona giornata e buon trading.
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