IL PRODUCER PRICE INDEX USA RIACCENDE LE SPERANZE
Si infittisce il calendario macro economico, dopo i dati della scorsa settimana sull’IPC Usa che ha dato nuova linfa all’euforia tipica del rally di natale, portando gli indici mondiali a nuovi impulsi rialzisti.
Oggi è stato il giorno dell’IPP, ovvero il Producer Price Index, un altro misuratore dello stato inflazionistico USA, grazie al quale si va a misurare l’andamento dei prezzi , non a valle della filiera produttiva, ma a monte, con gli occhi di chi deve approvvigionarsi di materie primi , semilavorati ed energia, per poi completare il processo produttivo e restituire il prodotto /servizio finito.
Questo indicato è molto atteso , e viene spesso individuato come premonitore di quelli che possono essere i futuri dati sul IPC, questo perché è consuetudine , nelle fasi di espansione economica, quando l’economia cresce ed i consumi seguono la curva , con i prezzi in aumento che anche i produttori, avidi di materie prime e mano d’opera, trovino a monte costi più elevati per la loro produzione, costi che in genere vengo riversati sui consumatori finali.
L’idea di lasciare invariato il cuscinetto di profitto aziendale e ribaltare cosi i maggiori costi al consumatore finale, in genere è la base sulla quale si fonda un principio di correlazione tra i due indici e dona al IPP una certa predittività.
Tuttavia, dobbiamo anche considerare che on è sempre cosi, perché le aziende riescono bene a girare i maggiori costi sul consumatore, solo se la domanda finale è forte, e la fiducia dei consumatori sembra on vacillare di front ei maggiori costi di beni e servizi, il che richiede ovviamente stabilità economica e lavorativa.
Dunque, fino ad oggi la crescita dei prezzi anche alla produzione ha trovato una sana risposta nella domanda che non ha avuto cedimenti, portando cosi a continui rialzi anche l’IPC, sia nella forma CORE che nel dato generale.
Tuttavia, ora non lontano dai massimi degli ultimi 20 anni, la domanda potrebbe aver i primi sussulti, con la disoccupazione in America che inizia a fare capolino e che potrebbe incrinare la fiducia dei consumatori. Per fortuna i prezzi ora sembrano aver raggiunto il pivot, e se la settimana scorsa il dato sull’IPC ha visto cali in tutte le sue declinazioni, oggi anche i dati sull’IPP vede storni importanti , portandosi su nuovi minimi di periodo, sebbene lontani ancora dai range che la FED si è preposta di raggiungere.
Se calano i prezzi alla produzione cala la possibilità che questi vengano riversati sui consumatori, dando così aspettativa di una minore pressione rialzista dei prezzi al consumo.
Se l’inflazione è dunque giunta davvero al suo giro di Boa, possiamo ben sperare che la FED inizi un percorso meno aggressivo nelle politiche monetarie, il che non vorrà dire taglio tassi, ma più banalmente rialzi più contenuti, magari da 50Bp, che possano dare tempo all’economia di stabilizzarsi e invertire una tendenza in maniera stabile.
Interessante vedere la correlazione diretta tra il dato oggi pubblicato dell’IPP, e il dato sul PCE core, ovvero le spere personali degli americani, che a quanto pare segue fedelmente prezzi a monte della filiera, dando cosi maggiore aspettativa di futuri cali dei prezzi anche nel dato PCE.
I mercati festeggiano con buona tonicità, che ora va a discapito di un dollaro americano debole, frutto di importanti prese di beneficio dopo un anno davvero d’oro per il biglietto verde.
La congiuntura macroeconomica americana rallenta e cosi il dollaro rallenta la sua corsa come letteratura vuole, dando spazio alle altre majors del mercato fx, in primis l’euro, che si ritrova ora oltre la parità a 1.0390 dopo interessanti estensioni a 1.05 figura.
La prospettiva ancora di un dollaro debole potrebbe portare ad ulteriori allunghi in primis sulle aree di 1.0550 e 1.0650 poi.
buona giornata e buon trading
SALVATORE BILOTTA