POLITICA: la resa.
La resa è certamente la scelta meno romantica ma credo sia il dovere di chi governa una nazione, di chi è fiero dei suoi monumenti e ama i suoi cittadini.
Il centurione Quinto si rivolge al proprio generale e dice: «Un popolo dovrebbe capire quando è sconfitto» e il generale Massimo di rimando: «Tu lo capiresti Quinto? Io lo capirei?».
In queste due frasi io vedo il condensato della vita. Bisogna imparare a gestire il successo allo stesso modo in cui è necessario sapere elaborare la sconfitta.
Non è un caso che l'accettazione delle perdite è uno dei primi argomenti che si affronta in un percorso didattico per trader professionisti.
C’è infatti spesso una patologia in colui che non si arrende e in modo irriducibile prosegue la battaglia sino all’epilogo. Talvolta l'esito dello scontro può apparire incerto; talaltra è facilmente prevedibile. Come accade oggi.
I romantici sono affascinanti dall'idea dell'eroe che si immola nella perfetta consapevolezza della sconfitta. Può essere un sentimento condivisibile, a patto però che il sacrificio di uno non diventi il sacrificio di tutti.
Indubbiamente ci abbacina questo mito del popolo indomito che si oppone all'invasore. Desta simpatia il popolo ucraino che si esercita con i fucili di legno ed erige barricate. Ci commuovono le donne e i bambini che lasciano il loro paese.
E ci irrita Putin nella parte dell'autocrate sanguinario che si fa beffa del diritto internazionale.
Questo è il fermo immagine che ci propongono all'unisono tutti i media.
Ma se riavvolgiamo il nastro potremmo vedere un'America che ignora gli accordi di Minsk, ingloba altri paesi dell'est Europa nella Nato e arma segretamente il governo di Zelensky.
È stata correa? Probabilmente.
Se invece mandassimo il film avanti cosa potremmo vedere?
Plausibilmente che la resistenza ucraina e l’invio di armi dall’Occidente non avrà alcun risultato se non quello di provocare altre migliaia o centinaia di migliaia di vittime.
Le sanzioni economiche verosimilmente affameranno i sanzionatori e rinsalderanno le relazioni tra i paesi più popolosi della terra: Russia, India, Cina, contingente asiatico, africano e sudamericano.
Eccoci così finiti nella trappola emotiva dell’eroe perdente.
Sin dall'inizio di questa invasione la sproporzione delle forze militari in campo mi era apparsa palese. L'ho scritto senza esitazione anche a costo di apparire un "amico di Putin".
Come ho scritto che non era legittimo sperare in una inclusione immediata dell'Ucraina nell'Unione europea. Solo oggi Draghi ha trovato il coraggio di chiarirlo. La legge è legge e vale per tutti. E i trattati europei sono legge. Giusti o sbagliati che siano.
Alcuni amici hanno sperato in un intervento della Nato. Ho argomentato pure in questo caso che non ne ricorrevano i presupposti.
Altri hanno invocato uno sbarco in Europa degli americani. Ma la Normandia è lontana e la Russia di Putin non è la Germania di Hitler.
Gli interventisti sarebbero così felici di vedere una Europa in fiamme?
E non è detto che non accada perché gli Usa hanno preso a riarmare gli alleati della Nato.
La scelta temporale mi appare particolarmente infelice.
Deve essere chiaro al lettore che, pur se non coinvolti direttamente nel conflitto, gli europei pagheranno a caro prezzo questa iattura. Ci spetterà il compito improbo di ricollocare milioni di individui e fronteggiare scarsità di materie prime.
Non è una riflessione buttata lì. So quello che dico. Cominciate a fare scorte di pasta e farina se amate la dieta mediterranea.
E non credo che si sia sbagliato il nostro premier quando oggi ha parlato della necessità per Bruxelles di stanziare almeno 2000 miliardi per fronteggiare l'emergenza in arrivo come uno tsunami.
In ogni caso, ed è questo il senso vero del mio post, un popolo non può essere mandato al massacro e all’esodo sol perché un uomo, o una élite, ha deciso che la resistenza sino all’eccidio sia la strada migliore.
La politica non prevede l’autoannientamento del proprio popolo. La resa è un dovere quando a pagare il prezzo di una lotta senza speranza sono i più fragili e gli ultimi.
Kiev non è Stalingrado, ricordatelo.