La PAC della discordia
Amici, ieri sera Sigfrido Ranucci ha illustrato nel dettaglio la crisi del grano e le sue stranezze. Stessa cosa per Milena Gabanelli, che l’ha fatto al mattino sulle colonne del Corriere.
Emerge una situazione su cui riflettere.
L’Italia ha una forte dipendenza alimentare, bella scoperta direte.
La colpa è tutta della PAC, che sprona addirittura gli agricoltori a lasciare incolti i terreni.
Vengo da un fine settimana di discussione riguardo l’ermeneutica, l’interpretazione; allora, proviamo ad interpretare i numeri.
Considerando il grano, tra tenero e duro ne importiamo il 48%.
Raggiungiamo questa performance coltivando a grano circa 1.750.000 di ettari. Disponiamo di 16,7 mln di ettari di superficie agricola e ne usiamo 12,5.
Verrebbe automatico pensare di abolire la PAC, riprenderci quei 4 milioni di ettari e coltivarne a grano altri 1,75 e risolvere una volta per tutte il problema della dipendenza estera.
Ma la PAC non dice di lasciare incolti 4 milioni di ettari!
Questi 4 milioni di ettari sono anche colpa dell’espansione delle città e delle infrastrutture, del degrado delle aree periurbane e dell’abbandono dei territori collinari e montani. Della combinazione del degrado del suolo, dell’erosione e dei cambiamenti climatici che, se non si interverrà con determinazione, potrebbe ridurre i raccolti fino al 50% in alcune aree del Paese. Senza dimenticare che il 21% della superficie, di cui il 41% al Mezzogiorno, è a rischio di desertificazione.
Per di più, nonostante una situazione demografica non florida, circa 16 ettari al giorno vengono occupati con coperture artificiali.
Infine, dice Maria Grazia Mammuccini, presidente FederBio, “L’agricoltura intensiva, la monocoltura, l’uso di diserbanti e concimi chimici di sintesi sono tra gli elementi che più impoveriscono il terreno”.
La PAC non crea queste problematiche, cerca piuttosto di combatterle.
Lasciare terreni incolti (non 4 milioni di ettari) non è una pratica imbecille, serve a tutelare la biodiversità, che a sua volta non è un tema riservato a svogliati adolescenti seguaci di Greta.
Sir Robert Watson dell’università East Anglia:
“In termini economici, in meno di 15 anni, tra il 1997 e il 2011, il mondo ha perso circa 4-20mila miliardi di dollari all’anno a causa del consumo eccessivo e scorretto del suolo e 6-11mila miliardi di dollari l’anno per il degrado”.
“Il valore dei servizi ecosistemici forniti dalla biodiversità (ad esempio, l’impollinazione delle colture, la depurazione delle acque, la protezione dalle inondazioni e il sequestro di carbonio) valgono tra i 125 e i 145mila miliardi di dollari l’anno. Più di una volta e mezza la dimensione del PIL mondiale. Eppure l’uomo li sta letteralmente gettando via”.
Insomma, sparare a zero sulla PAC è la via più facile.
Nei commenti alcuni link utili.
https://valori.it/biodiversita-perdita-pil-mondiale/