IL T-BOND TRENTENNALE, LE CURVE DEI RENDIMENTI E LA RECESSIONE.
Ieri il rendimento del T-Bond trentennale ha superato il 2.70% (v. chart 1).
Monitoriamo questo asset da oltre un anno perchè, a nostro avviso, ha una rilevanza strategica nelle scelte di politica economia americana e nella composizione dei portafogli dei grandi gestori. Il tasso è inserito all'interno di un canale di regressione lineare ribassista; ogni volta che ne sollecita il lato superiore determina una ripartenza in acquisto dei bond e successivamente innesca una recessione.
Ciò è accaduto nel 2000, 2007, 2010-11 e a fine 2018, per soffermarsi solo sui casi più recenti. E' un appuntamento generazionale al quale sembreremmo quasi giunti. Per essere più realisti del re, attendiamo tuttavia lo sfioramento del tasso del 2,90%.
Ma, di questi tempi, potrebbe non volerci moltissimo.
Non è un caso che l’indice Bloomberg del reddito fisso non speculativo USA, denuncia la perdita peggiore dall’inizio anno perlomeno dal 1989.
Ne fanno le spese le tradizionali gestioni bilanciate, con il classico
portafoglio “60/40”, che ha fatto la fortuna di una intera generazione di
asset allocator, che denuncia un passivo da inizio anno del 5.6%: la seconda
peggiore debacle dal fallimento di Lehman dopo il crash di inizio 2020, una
delle peggiori performance della storia.
In una certa misura, buona parte di questi grami risultati è riconducibile alla
ferrea determinazione delle autorità monetarie di combattere l'inflazione: la Fed ha
garantito un aumento dei tassi ufficiali in ciascuna delle prossime riunioni
attese fino alla fine dell’anno.
Anzi il mercato a termine prezza una probabilità del 71% di incremento da 50 punti base ad inizio maggio, di una misura identica a metà giugno, e di complessivamente dieci aumenti dei tassi ufficiali nel corso del 2022. Addirittura si vocifera della possibilità di un incremento eccezionale da 75 punti base, il che spiegherebbe la reazione isterica del mercato obbligazionario. D'altronde pare che Powell sia stato espressamente rieletto con questo ingrato compito.
Il T-note Usa decennale staziona su un supporto che catalizza l'attenzione degli investitori dal 2018, quello dei 120, e soggiace sul time frame settimanale a tutte le medie mobili più adoperate (persino alla meno usata 320 periodi). Come avevamo più volte suggerito ai nostri clienti, il mercato obbligazionario era in bolla plateale: ha perso quasi il 14% dai massimi storici e il 7% solo nell'anno appena iniziato (v. chart 2). Sarà dura recuperare il loss in tempi rapidi.
L'appoggio sul citato supporto, in uno con la posizione degli indicatori che appaiono molto sacrificati, autorizzerebbe a pensare quanto meno ad un rimbalzo tecnico.
Ma i casi evidentemente sono due:
- o siamo in presenza di una opportunità ciclica di acquisto dei bond, come sistematicamente si è manifestata negli ultimi quarant'anni (e con essa dell'inizio di una disinflazione con calmieramento dei tassi, Dio lo voglia!);
- o siamo in presenza di un mutamento storico paradigmatico, con un break verso l'alto di questi ultimi - che potremmo considerare acquisito sopra i 2.90% - che sancirebbe un'inversione epocale con conseguenze terribili tutte da decifrare: uniche certezze, ulteriore crescita del costo del denaro e perdita dei corsi dei bond a rotta di collo...
La chiusura settimanale del decennale non autorizza ancora ad ipotizzare una inversione di rotta. Affatto. Ricordiamo che su time frame daily la ma 200 passa per 130 circa, e dunque fino a lì, campa cavallo. Tuttavia un acquisto con size modeste è ipotizzabile solo se il prezzo si riuscisse a portare sopra i 123,15, che coincide con l'ultimo massimo relativo e il tetto del Supertrend lento. Mai una coincidenza in analisi tecnica. Dunque qui l'operatività rispetterebbe, almeno formalmente, una innegabile logica e il target minimo si collocherebbe a 125,20 (v. chart 3). Nulla di eccitante, va da sé, ma il movimento potrebbe iniziare a negare un pericoloso ritorno dei prezzi verso valori che non si vedevano da oltre dieci anni e una ulteriore espansione dell'inflazione che tanto male ha iniziato a fare alle tasche dei cittadini.
Anche il Bund tedesco non gode di ottima salute. Dal top toccato nel 2019 a 179,80 (uno sproposito che non abbiamo mancato di rimarcare per lungo tempo!) corregge complessivamente anch'esso di poco più del 13% (v. chart 4).
Qui la linea del Piave si colloca a 156, supporto pluriennale che resiste inviolato dal 2015. Una sua eventuale effrazione spingerebbe il prezzo in area 155- 154, per principiare, e lascerebbe ulteriormente lievitare i tassi.
Non mancano segnali empirici di un possibile esaurimento del ribasso. Indicatori in forte ipervenduto e cinque chiusure di candele rosse weekly al di sotto delle Bollinger Band in tempi normali innescherebbero una reazione. Questa volta non ci aspettiamo automatismi perchè il Bund si presenta in versione bearish su tutti i time frame: c'è poco da anticipare il mercato e molto da attendere. Attendere ad esempio una riconquista di area 159,80-160 per longare giudiziosamente verso i 162 e rotti (v. chart 5).
A questo punto del ragionamento credo che i lettori siano ben coscienti che la partita vera si stia giocando sul terreno dei tassi d'interesse. Da quello che succederà, e da come sapremo gestirlo, dipenderanno le fortune e le carriere di tanti di noi.
Il ribasso dei prezzi dei bond e lo speculare rialzo dei tassi ci porta a riesplorare l'argomento delle curve dei tassi, dell'inversione delle stesse, e con essi il ritornello della recessione.
Con il termine “curva dei rendimenti” si intende la rappresentazione grafica dei rendimenti obbligazionari in funzione delle varie scadenze.
In condizioni normali, maggiore è la scadenza di un obbligazione maggiore sarà il rendimento riconosciuto all’investitore.
L’inversione della curva si ha quando i rendimenti a breve termine superano i rendimenti a lungo termine. Questo fenomeno rappresenta, dunque, un’evidente anomalia: i rendimenti a lungo termine dovrebbero essere maggiori di quelli a breve termine. Convenzionalmente, ma troppo semplicisticamente per i motivi che analizzeremo più avanti, si dice che la curva è invertita quando il rendimento dei titoli di stato americani a 10 anni è inferiore rispetto a quello dei titoli di stato a 2 anni.
Perchè si inverte la curva dei rendimenti? Si inverte perché gli investitori iniziano a presagire che l’economia potrebbe rallentare.
Un’economia in rallentamento significa minori utili aziendali e flessione delle quotazioni delle azioni. Dunque, in previsione del ribasso, si preferisce dirottare i capitali sulle più sicure obbligazioni. L’aumento della domanda di obbligazioni provoca l’aumento dei corsi e, di conseguenza, la discesa dei rendimenti del bond più acquistato.
Ipotizziamo che esista un titolo di stato con scadenza a 10 anni che offra una cedola fissa del 2% con una quotazione ipotetica di 100.
Se aumenta la richiesta di questo titolo perché molti investitori lo vogliono, il suo prezzo di mercato aumenterà a poco a poco e, diciamo che arriverà a 105.
Visto che la cedola riconosciuta rimane fissa, il prezzo di mercato più elevato riduce il rendimento per i nuovi investitori.
A questo punto ci si potrebbe legittimamente chiedere: perché aumentano i prezzi delle obbligazioni a lungo termine e non quelli di quelle a breve termine?
Il motivo è da ricercarsi ancora nelle aspettative: durante le recessioni le banche centrali riducono il livello dei tassi di interesse. Proprio a causa di questa riduzione, i nuovi titoli di stato saranno emessi con rendimenti cedolari più bassi.
Ipotizzando l’arrivo di una recessione, se ho investito in obbligazioni a breve scadenza, al momento del rimborso mi vedrò costretto a re-investire in titoli di stato con rendimento più basso.
Quindi meglio comprare titoli a lunga scadenza che garantiscono lo stesso tasso per un arco temporale più lungo.
Guardando al passato, dal 1976 a oggi, l’economia americana è stata colpita da sei recessioni. Ognuna di esse è stata anticipata dall’inversione della curva dei rendimenti. Per i motivi su esposti compro obbligazioni più lunghe (10 anni), il prezzo crescerà e i tassi man mano fletteranno.
Il contrario avverrà con riferimento ai bond più brevi (2 anni, per esempio) i cui tassi si muoveranno in crescita.
Il grafico che segue mostra l’andamento della differenza di rendimento tra i titoli di stato a 10 e 2 anni (v. chart 6). Quando la differenza è negativa (cioè i rendimenti a 10 anni sono inferiori rispetto a quelli a 2 anni) si ha il fenomeno di inversione della curva: in questo caso il grafico scende sotto la linea di neutralità (differenza zero).
Le aree grigie del grafico indicano i periodi di recessione.
Come si può apprezzare, ogni area grigia (cioè ogni recessione) è stata anticipata da un’inversione della curva dei rendimenti.
Quanto è affidabile l’inversione della curva 10y-2y?
La recessione fa parte di ogni ciclo economico: sappiamo che, prima o poi, avremo una recessione e una correzione più o meno violenta del mercato azionario.
Il fatto è che non sappiamo quando. E non lo sa neanche la curva invertita.
L’inversione della curva dei rendimenti anticipa una recessione ma non è in grado di dirci con esattezza quando questa arriverà.
Se proprio vogliamo prestare attenzione alle statistiche e alla storia passata (che sono l’unica base certa in finanza), dobbiamo farlo con una certa coerenza.
Il tempo medio che intercorre tra l’inversione della curva e l’arrivo della recessione è di circa 4 – 18 mesi.
Tuttavia questo intervallo di tempo può essere anche molto più lungo:
nel maggio del 1998 la curva si invertì ma la recessione del 2001 (bolla delle dot.com) arrivò soltanto 34 mesi dopo.
Questo è quanto è dato leggere nella letteratura più diffusa.
Ma a noi piace fare le cose più complicate di così. L’istogramma che vi mostro è basato su 7 diverse scadenze di bond Usa, dai tre mesi ai 30 anni; e su 21 differenti curve (v. chart 7). Ad oggi, soltanto il 5% (una, su 21)
delle possibile curve ipotizzabili risulta negativamente inclinato. Troppo poco, se si considera che le ultime tre recessioni sono state precedute, e di non poco tempo, da una formale inversione in più del 65% dei casi contemplabili.
Naturalmente la persistenza dell’inflazione sui correnti, insopportabili livelli
potrebbe accelerare l’avvicinamento fra le scadenze. Molto più ne sapremo
nei prossimi giorni, ma, a meno di un precipitare improvviso degli eventi, nel complesso i dati macro correnti non legittimano
aspettative di recessione immediata almeno da qui a un anno.
Lo US Financial Conditions Index (v. chart 8) e il Financial Condition Index dell'Eurozona (v. chart 9) confermano all'unisono che le condizioni finanziarie complessive, al di qua e al di là dell'Atlantico, sono al peggio neutrali. Nessuna prova di una imminente recessione. Queste cominciano quando gli indici superano il valore di 75. Vi terremo aggiornati.
dott. Massimo Moschella
Professional Trader & Teacher at Cpe Trader
Per relazioni tecniche, analisi, report e sessioni di coaching one to one potete scrivere a: massimomoschella@libero.it