Mining di bitcoin: i problemi non sono finiti.
Pochi giorni fa c'è stato un forte calo della difficoltà di estrazione di Bitcoin. Questo calo ha ridotto il costo del mining perché ha diminuito il volume dei calcoli richiesti in media per estrarre i singoli blocchi. Tuttavia ciò potrebbe portare solo a un “sollievo temporaneo”.
Il problema che affligge il settore del crypto mining, ma anche di tutte le altre industrie ad alta intensità energetica, è l'aumento del costo dell'energia. A causa di vari fattori, tra cui la ripresa post pandemia, le politiche monetarie molto espansive delle banche centrali negli ultimi anni, e soprattutto la guerra in Ucraina con le conseguenti sanzioni alla Russia, i prezzi dei combustibili fossili sono aumentati molto.
Sfortunatamente il mining di Bitcoin utilizza ancora fonti fossili su larga scala e inoltre l'aumento del costo dell'elettricità generata da fossili ha inevitabilmente generato una maggiore pressione di acquisto anche su altre fonti, causando un aumento dei prezzi dell'elettricità su tutta la linea.
È probabile che questo problema continui per molti altri mesi, quindi è impossibile immaginare che i minatori di Bitcoin saranno in grado di tirare un sospiro di sollievo.
Il fatto è che se riducessero i consumi, così da abbattere i costi, ridurrebbero anche le loro possibilità di riuscire a minare un blocco, visto che il mining è una competizione in cui per ogni blocco c'è sempre un solo vincitore che incassa l'intero premio.
La riduzione dei consumi
Nonostante ciò a fine novembre si è verificata una riduzione del consumo di mining con un calo dell'hashrate del 13,1% rispetto ai massimi storici di inizio mese.
L'hashrate, ovvero la potenza di calcolo impegnata nel mining, è una buona cartina di tornasole dei consumi, perché inevitabilmente a parità di efficienza, più hashrate significa più consumi e viceversa.
Tuttavia a partire dal 29 novembre l'hashrate è tornato leggermente a salire, indicando che i minatori in questo momento non sono in realtà particolarmente intenzionati a ridurre il consumo.
Ciò significa che il calo del consumo di mining di Bitcoin è stato minimo, con l'attuale livello di poco inferiore ai 260 Eh/s a livello globale, in media solo il 6% in meno rispetto all'inizio di novembre. Basti ricordare che a fine settembre quel livello era poco più di 220 Eh/s e un anno fa era di 180 Eh/s.
I problemi continuano
Alla luce di ciò è fin troppo facile prevedere che i problemi che attualmente affliggono il mining di Bitcoin continueranno nei prossimi mesi. L'unica via d'uscita veloce sembrerebbe essere un eventuale forte aumento del valore di BTC, perché l'alternativa è spegnere le macchine meno efficienti e quindi meno redditizie.
Infatti in questo momento è possibile che ci siano diverse macchine minerarie in giro per il mondo che operano in perdita e vengono mantenute accese solo nella speranza che i BTC incassati possano essere venduti in futuro ad un prezzo più alto di quello attuale.
Il fatto è che tutti i guadagni dei minatori di Bitcoin sono in BTC. I miner incassano solo la ricompensa, che in questo momento è di 6,25 BTC per ogni singolo blocco minato, e le commissioni pagate dai mittenti delle transazioni, anch'esse in BTC.
Tuttavia pagano l'elettricità in valuta fiat, il che implica che devono vendere i BTC estratti al prezzo di mercato per pagare l'elettricità. Quindi una diminuzione del valore di mercato di Bitcoin genera inevitabilmente una diminuzione dei guadagni reali dei miner.
Certo è vero anche il contrario ed è possibile che i miner mantengano ancora accese la maggior parte delle macchine proprio perché sperano di vendere in futuro i BTC raccolti a un prezzo più alto di quello attuale.