SULL'INFLAZIONE AMERICANA
Il CPI americano ha conseguito un nuovo massimo pluriennale collocandosi al +5.4% (vedi chart 1).
L’indice al netto delle componenti energetiche ed alimentari sale con minore slancio.
Si impenna anche lo Shelter Cpi. Sull’inflazione generale impattano infatti anche i prezzi delle case con il tradizionale ritardo di 9 mesi.
Il chart 2 evidenzia bene come i prezzi legati a beni e servizi connessi alla ripartenza dell’economia spieghino soltanto una parte minoritaria del citato +5.4%. Se sono giusti i calcoli di Bianco Research, la voce più ampia è infatti rappresentata da componenti acicliche e dunque strutturali (79%).
Diventa sempre più difficile sostenere la tesi della temporaneità dei rialzi inflattivi. Ciò consente di dare quasi per certo l'avvio del tapering americano sul finire di anno.
Secondo il sondaggio mensile condotto dalla Nfib, il 46% delle piccole aziende americane sono pronte a scaricare i maggiori
costi di produzione sui consumatori finali. Che con i risparmi accumulati e i sussidi intascati in periodo di smart working non dovrebbero protestare più di tanto. Piuttosto appare prevedibile attendersi una globale richiesta di incrementi salariali per far fronte all’aumento dei prezzi. Poichè in America la disoccupazione resta su livelli irrisori, i lavoratori possono permettersi di forzare la mano.
Anzi, la crescita delle buste paga rimarrà l'unico espediente per riempire quei dieci milioni di posti di lavoro offerti e non accettati.
Non solo; lo scorso agosto più di 4 milioni di americani hanno spontaneamente abbandonato la loro occupazione (v. chart 3).
Si tratta del 3% della forza lavoro. E più di un quinto di chi ha rinunciato all’impiego, opera nel settore Hotel & Food.
Sono sempre di più i datori di lavoro pronti ad offrire fino a 22
usd/h, con un bonus iniziale di 3-4.000 dollari.
Questo mi sembra il cambiamento sociale più degno di una migliore riflessione perchè potrebbe interessare, prima o poi, anche l'Europa.
All the best
dott. Massimo Moschella